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Raffaello e le 3 opere custodite a Napoli

Raffaello e le 3 opere custodite a Napoli

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Il 2020 è l’anno in cui si celebrano i 500 anni della morte del genio di Urbino: Raffaello. Scopriamo insieme le tre opere di Raffaello che si possono ammirare a Napoli.

Osannato in tutto il mondo, visse una vita breve, morendo a soli 37 anni il 6 aprile del 1520, ma fu ricca di successi e capolavori che ancora oggi sono ammirati da viaggiatori di tutto il mondo. Di lui Giorgio Vasari disse “di natura dotato di tutta quella modestia e bontà che suole vedersi in colore che più degli altri hanno a certa umanità di natura gentile aggiunto un ornamento bellissimo d’una graziata affabilità”. Napoli custodisce tre opere di Raffaello che non puoi assolutamente perderti: si trovano al Museo e Real Bosco di Capodimonte e provengono dalla Collezione Farnese, trasferita, tra XVIII e XIX secolo, per volere di Carlo di Borbone, nel capoluogo partenopeo.

Chi era Raffaello?

Nacque nel 1483, il 28 marzo o il 6 aprile, a Urbino, a quei tempi uno dei centri più vivaci e attivi della cultura del Rinascimento. E’ grazie al padre e alla sua bottega che Raffaello apprende i primi insegnamenti di disegno e pittura e ha modo di studiare le opere degli artisti più importanti di quel periodo, tra cui Piero della Francesca e Antonio del Pollaiolo mentre il padre lavorava a Palazzo Ducale.

I suoi riferimenti: Il Perugino, Leonardo e Michelangelo

Furono loro, in momenti diversi della sua vita, a ispirare i lavori del giovane Raffaello.

Quando il padre morì, Raffaello aveva solo 11 anni, ma già a quell’età aveva maturato una notevole conoscenza e consapevolezza della sua arte. Dopo un periodo di apprendistato alla scuola di Timoteo Viti, si trasferì a Perugia, deciso a studiare alla bottega di uno dei più grandi maestri dell’epoca: Pietro Vannucci, detto il Perugino. Vi rimase per diversi anni e nei suoi lavori è chiara l’influenza del suo maestro, risultando però più armonioso.

Dopo i soggiorni a Perugia, Città di Castello e Siena, furono i successi di Leonardo e Michelangelo ad attirarlo a Firenze. In quel periodo i due artisti erano impegnati rispettivamente agli affreschi della Battaglia di Anghiari e della Battaglia di Cascina. E fu qui, dal 1504 al 1508, che Raffaello realizzò alcune delle sue opere più belle, tra cui la serie di Madonne, tutte con chiari riferimenti agli studi dei grandi Leonardo e Michelangelo: dalla posa delle sue madonne, alla delicatezza dei ritratti, all’attenzione verso gli sguardi dei suoi protagonisti

Il periodo Romano

Papa Giulio II fece arrivare a Roma Raffaello con un incarico preciso: affrescare le Stanze Vaticane. Siamo verso la fine del 1508 e, nel frattempo, un altro capolavoro si stava realizzando.  Michelangelo, infatti, era al lavoro nella Cappella Sistina.

Due sono gli affreschi più noti dell’artista di Urbino: la Disputa del Santissimo Sacramento e la Scuola d’Atene. Una curiosità: in entrambe le opere Raffaello ha voluto inserire anche alcuni personaggi del suo tempo tra cui Leonardo, Michelangelo e lo stesso Raffaello!

Ma la sua attività a Roma fu molto proficua anche sotto il papato di Leone X, che gli commissionò, tra gli altri, gli arazzi della Cappella Sistina, le opere per le Logge Vaticane, ritratti e… palazzi! Si perchè Raffaello era anche un abile architetto, motivo per il quale gli furono affidati i cantieri della Basilica di San Pietro alla morte del Bramante.

Il suo ultimo capolavoro fu La trasfigurazione di Cristo, concluso il giorno della sua morte, il 6 aprile  1520.

Raffaello a Napoli, 3 opere della Collezione Farnese al Museo e Real Bosco di Capodimonte

Madonna del Divino Amore

Tra le opere della collezione Farnese c’è anche la Madonna del Divino Amore, realizzata da Raffaello tra il 1516 e il 1518. Alessandro Farnese il Giovane l’acquistò nel 1564 ma la denominazione che conosciamo oggi dell’opera risale al 1824 e deriva dal titolo di una litografia di Friedrich Rehberg, pubblicata nel suo Rafael Sanzio aus Urbino, tradotto successivamente dal Longhena.

In primo piano c’è la Madonna con il Bambino in grembo che gioca con San Giovannino, sotto lo sguardo di Sant’Elisabetta (ma secondo alcuni si tratterebbe di Sant’Anna). Puoi scorgere invece sulla sinistra San Giuseppe, che assiste in disparte alla scena.

Il quadro risulta innovativo perchè, rispetto alla tradizionale composizione a  piramide, Raffaello sceglie di dipingere il gruppo di soggetti secondo una innovativa composizione diagonale, ispirandosi probabilmente a Leonardo da Vinci.

L’Eterno tra cherubini e testa di Madonna

Ci troviamo davanti in realtà due frammenti della Pala del beato Nicola da Tolentino, o Pala Baronci, andata parzialmente distrutta, poi smembrata e, infine perduta.

Le sue parti conosciute, oltre che al Museo e Real Bosco di Capodimonte sono esposte alla Pinacoteca Tosio-Martinengo di Brescia, al Louvre di Parigi, all’ Institute of Arts di Detroit e al Museo Nazionale di Palazzo Reale di Pisa.

La pala venne commissionata a Raffaello da Tommaso Baronci per decorare la cappella di famiglia a Città di Castello.Nel 1789 venne gravemente danneggiata da un terremoto, così si decise di sezionare le parti meglio conservate, che fino al 1849 rimasero custodite in Vaticano finchè andarono perdute. In ogni caso, esiste una copia parziale dell’opera originale del 1791 di Ermenegildo Costantini conservata nella Pinacoteca comunale di Città di Castello e altri disegni preparatori all’ Ashmolean Museum du Oxford e al Museé del Beaux Arts di Lilla, per avere un’idea della composizione originaria del dipinto.

Una curiosità: Raffaello realizzò l’opera a soli dicassette anni, ma, nonostante la giovane età, è attestato che fu indicato come magister nel contratto di commissione

Cardinale Alessandro Farnese

Al Museo Bosco di Capodimonte è conservato il Ritratto del Cardinale Alessandro Farnese, futuro Paolo III, il quale volle farsi ritrarre da Raffaello per ottenere maggiore prestigio, con il sostegno dei Medici. Per questo motivo l’opera risalirebbe tra il 1509 e 1512, anche se in passato si sono sollevati dubbi sulla sua identità. Alcuni sostennero, infatti, che si trattasse di un altro cardinale, Silvio Passerini.

Alessandro Farnese è ritratto con abiti cardinalizi mentre con la mano destra tiene una lettera. Ti colpiranno subito le tonalità di rosso dominanti nel quadro e lo sguardo fiero, ma allo stesso tempo incerto, del giovane vescovo.

 

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